In fuga dall’omofobia – storia di Faisal
La situazione dei diritti umani delle persone LGBTI in tutto il mondo continua ad essere allarmante: il rapporto di Ilga World (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), riferito a fine 2020, denuncia che 69 Stati membri delle Nazioni Unite continuano a criminalizzare atti sessuali omosessuali consensuali tra adulti. In 6 nazioni è prevista addirittura la pena di morte (in Iran, Arabia Saudita, Somalia, Nigeria, Yemen e Sudan).
I rifugiati SOGI (Sexual Orientation and Gender Identity) sono persone che richiedono e ottengono asilo perché perseguitati nel Paese di origine a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. Le persone LGBTI sono esposte a notevoli rischi di violazione dei loro diritti fondamentali nei Paesi dove le relazioni tra persone dello stesso sesso sono criminalizzate, motivo da cui deriva la necessità di abbandonare la propria casa.
Ma cosa significa essere un rifugiato omosessuale in Italia? Lo abbiamo chiesto a Faisal, che per un pezzo della sua strada è stato ospite dei nostri progetti.
Faisal ha 28 anni e da 5 vive in Italia. Dopo essere stato inserito in un progetto di prima accoglienza ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato e ora vive a Padova dove lavora in un’azienda dolciaria e ha preso in affitto un appartamento da solo. Un percorso per l’integrazione lungo e articolato, ma che lo ha portato finalmente a vivere una vita “normale”, come la definisce.
E pensare che in Pakistan, una vita così libera non la sognava neppure: “Essere apertamente omosessuale in Pakistan è ancora oggi molto difficile. Per le persone transgender la cosa è diversa: storicamente in Pakistan e in India le persone transgender sono sempre esistite, vivevano nella casa dell’imperatore ed erano rispettate. Ma per le persone gay e lesbiche no: in Pakistan abbiamo le stesse leggi che importò l’impero britannico più di un secolo fa [e che criminalizzano i reati “contro natura”] e anche la legge islamica punisce l’omosessualità”.
“Certamente ci sono persone che vivono la propria omosessualità in Pakistan, ma lo fanno di nascosto perché il rischio per la propria vita è ancora alto: se la polizia scopre che due persone dello stesso sesso hanno una relazione possono portarti in prigione, chiederti di pagare per liberarti, picchiarti, anche violentarti. È accaduto anche a me quando vivevo in una grossa città: stavo camminando con un ragazzo per la strada e la polizia ci fermò e ci portò in centrale per interrogarci. Ero davvero molto spaventato, ho rischiato di rimanere in prigione a lungo”.
“Quando sono arrivato in Italia non sapevo come vivono le persone gay qui, non conoscevo nulla della tradizione, della cultura… volevo solo cambiare la mia vita. Ma quando ho iniziato a conoscere persone gay come me e a parlare di me e della mia situazione più liberamente, anche con persone eterosessuali, allora mi sono sentito davvero libero. Essere qui in Europa, poter vivere liberamente la mia vita, mi fa sentire davvero un privilegiato”.
“La mia famiglia non sa nulla della mia vita qui. Con loro non posso esprimere liberamente chi sono, se lo facessi quel giorno per loro sarebbe un giorno maledetto, sarebbe qualcosa di inaccettabile. Certamente quando li sento mi chiedono quando mi sposerò, ma ho imparato da tempo ad evitare la risposta… in Pakistan c’è una tradizione di matrimoni combinati tra famiglie, e la mia cerca da sempre di organizzare il mio, ma finora sono riuscito ad evitarlo, fortunatamente.”
“Sogno un futuro in cui avrò una relazione con una persona che amo, ovviamente, ma per il momento sono molto più focalizzato sul mio futuro professionale e vorrei rimettermi a studiare per migliorare ancora di più il mio lavoro. E chissà, mi piacerebbe molto in futuro avere dei figli, ma per ora rimane soltanto un sogno”.